Quali risparmi per gli immobili del Vaticano?

Gli affitti degli immobili del Vaticano, il Rescritto è una vera rivoluzione?

Ammettiamo di aver impiegato qualche minuto di troppo nel cercare, anche attraverso i canali istituzionali, il più recente Rescritto di Papa Francesco. A quale ci riferiamo? A quello relativo agli affitti degli immobili del Vaticano che cardinali e dirigenti sarebbero chiamati a corrispondere alla Santa Sede, a partire da data indefinita, dimenticando i loro “privilegi”. Tale disorientamento sarà certamente dovuto alla nostra inesperienza nel muoverci all’interno dell’intensa produzione, cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio, di questa tipologia di documenti concernenti i beni e l’economia.

I beni sono necessari all’adempimento della missione della Chiesa

Capiamo bene, in realtà, che le proprietà della Santa Sede siano finalizzate a uno scopo superiore, come specificato da decenni e come ribadito nel Motu Proprio “Il diritto nativo” del 20 febbraio 2023, che sottolinea la natura pubblica dei beni della Santa Sede e il ruolo delle istituzioni curiali e degli enti collegati, non di proprietari, ma di amministratori. Quid novi? Tutelare i beni vuol dire anche investirli con accortezza e, in relazione a questo argomento, qualche domanda emerge circa le ragioni della recente tendenza alla centralizzazione, che sembra andare in conflitto con il principio “Don’t put all your eggs in one basket”, tanto citato all’interno degli Enti economici. Dall’istituzione della Segreteria per l’Economia, si verificano a stretto giro continue oscillazioni tra APSA e IOR nella gestione degli investimenti e noi, comuni mortali e non tecnici esperti, tendiamo a perdere facilmente i riferimenti.

Il distacco dai beni materiali

A proposito di questa insistenza sulle proprietà, ci piace ricordare l’attitudine di Pio XI che, alla ratifica dei Patti Lateranensi, decise, con atteggiamento totalmente distaccato e ammirevole saggezza, di mantenere solo un fazzoletto di terra, “quel tanto di corpo che bastava per tenersi unita l’anima”, rinunciando alla cessione, da parte dell’Italia, di altro territorio. È, quindi, comprensibile dare importanza al patrimonio, ma senza mai perdere di vista i fini più alti, come il vero bene della Chiesa e il benessere dei dipendenti, ottenuti anche attraverso mezzi materiali.

Vaticano azienda

Qualche Superiore azzarda perfino il paragone del Vaticano a un’azienda. Mettere tutto a reddito è diventato un “must”. Noi idealisti, che speravamo che il Vaticano differisse dalle comuni aziende per tradizione millenaria, saggezza, lungimiranza, trattamento umano ed equo dei propri dipendenti, alla luce del Vangelo e della Dottrina Sociale della Chiesa, manifestiamo qualche preoccupazione. Efficienza, sì, ma non tramite rigidi controlli, forzature e attenzione persistente al reddito.

Come instillare fiducia nei dipendenti del Vaticano?

Si lavori sulla fiducia, sulla creazione di un clima di lavoro più sereno e collaborativo e sulla costante formazione del personale interno (onde evitare maggiori spese per l’acquisizione di costosi privati esterni, soprattutto “esperti”). Se proprio dev’essere, ci auspichiamo di prendere come riferimento aziende come la Olivetti (superamento del concetto di catena di montaggio, corretta organizzazione del tempo di lavoro, creazione di servizi sociali avanzati, realizzazione di una biblioteca, interventi a favore delle operaie, delle mogli dei dipendenti e dei bambini, contributi per le giovani madri, vaccini per la poliomielite, ecc.).

Gli affitti delle case del Vaticano

Con Rescritto del 1° marzo 2023, Papa Francesco, su suggerimento del nuovo prefetto laico della Segreteria per l’Economia, Maximino Caballero Ledo, “ha disposto l’abrogazione di tutte le disposizioni che consentono l’utilizzo gratuito o a condizioni di particolare favore degli immobili di proprietà delle Istituzioni curiali e degli Enti che fanno riferimento alla Santa Sede, comprese le Domus”. Benissimo, ha esclamato il popolo. L’unico dubbio che ci tormenta assai è come mai questa disposizione non abbia avuto effetto immediato, com’è accaduto nel caso della sospensione dei bienni (con esclusione delle categorie C2 e C3), dell’aumento degli affitti ai dipendenti da parte dell’APSA e di altri provvedimenti di regolarizzazione delle situazioni contabili, che hanno richiesto il pagamento di arretrati di molti anni; decisioni prese, soprattutto se relative ai dipendenti, senza previa concertazione o comunicazione agli interessati. Ricordiamo che la nuova norma riguarda cardinali, capi dicastero, presidenti, segretari, sottosegretari, dirigenti ed equiparati “per far fronte agli impegni crescenti che l’adempimento al servizio alla Chiesa Universale e ai bisognosi richiede in un contesto economico quale quello attuale, di particolare gravità”.

Quali risparmi?

Se gli impegni sono così urgenti, sarebbe utile fare un calcolo dei risparmi ottenuti con la sospensione del biennio (stima che viene costantemente effettuata dalla Segreteria per l’Economia tramite i bilanci degli Enti) e paragonarli alla somma derivante da un’ipotetica sospensione del privilegio dell’affitto/comodato d’uso a titolo gratuito, previa considerazione di un adeguato periodo di tempo necessario per cercare un altro immobile a reddito o per sciogliere il contratto, diciamo da qui a sei mesi, volendo essere generosi. Infatti, per quanto riguarda i comodati, contratti generalmente riservati ai dirigenti, essi potrebbero essere rescissi in molto meno che sei mesi e riproposti dei regolari contratti di affitto a canone di mercato.

Interventi a favore delle categorie meno abbienti

Sarebbe interessante pubblicarne poi i risultati oltreché capire chi, in effetti, secondo la normativa vigente, oggi gode di questi privilegi e a quale titolo. Infatti, che i Cardinali o i Superiori, chierici o religiosi che siano, godano di un affitto gratuito, non ci turba più di tanto. Anzi, percependo uno stipendio che è circa la metà di quello di altri dirigenti e continuando ad essere i rappresentanti della storia millenaria della Chiesa, vorremmo che per loro il meritato privilegio persistesse. Ma gli altri? È giusto mettere tutti nel grande calderone? Tornando ai nostri calcoli, la cifra equivalente alla mancata entrata da reddito d’affitto potrebbe essere investita in progetti di ripresa dell’economia, anche a favore delle categorie meno abbienti del personale.

I tagli di spesa non penalizzino i dipendenti

Confidiamo, in conclusione, in una saggia revisione dei tagli di spesa, che non penalizzi esclusivamente il personale, e in un incremento degli introiti reale e lungimirante, che avvenga nel rispetto dei principi cui la Chiesa si è sempre ispirata. 

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