Come facilmente prevedibile, ancor prima dell’elezione del nuovo Pontefice, durante gli incontri delle Congregazioni Generali dei Cardinali, è stato dato rilievo all’ormai ricorrente tema del deficit della Santa Sede: 70 milioni di “rosso”, tutti da capire. Miracoli e tagli come ipotetiche soluzioni. La seconda più probabile: una cantilena che sentiamo ormai da anni. Speravamo in una nuova attenzione all’aspetto umano e spirituale delle politiche vaticane, a cui la nuova dirigenza del Governatorato sembra recentemente volgere un faro. Ad ogni modo, la prima domanda che salta alla mente è: siamo sicuri che la chiusura della Prefettura per gli Affari Economici della Santa Sede, sancita dal motu proprio “Fidelis dispensator et prudens” (2014), abbia lasciato il passo a una riforma economica vincente? Da quanto si legge, si direbbe di no. Eppure, il problema dell’assenza di ricavi della Santa Sede (intesa come realtà altra dal Governatorato, che riceve introiti soprattutto dai Musei e dai servizi economici) è sempre esistito.
Bilanci non pubblicati
Basterebbe confrontare i vari risultati di bilancio ottenuti nel corso degli anni per avere una visione più chiara della situazione. Ma come si fa? Ai tempi della Prefettura, i bilanci (gli ultimi chiusi perfino in attivo) venivano pubblicati e commentati durante le conferenze stampa, mentre ora veniamo a conoscenza dei risultati finali per sentito dire. Scordiamoci poi il dettaglio delle singole voci (es. emolumenti delle figure manageriali, costi delle consulenze e delle prestazioni di collaboratori di società esterne, solo per rimanere nell’ambito dei costi del personale). Forse anche in questo campo vale l’esortazione evangelica: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”? Come mai questo buco nero, anzi “rosso”, nei conti del Vaticano? Possiamo solo avanzare ipotesi.
Le cause del passivo del Vaticano, troppe direzione e consulenze
È un problema di calo di donazioni, con conseguente riduzione dell’Obolo di S. Pietro (prima gestito dalla Segreteria di Stato e passato poi alla SPE, in un’ottica di accentramento dei poteri) o di mancata/ridotta copertura del deficit da parte degli organismi interni? Oppure, con la moltiplicazione degli organismi economici (Consiglio per l’Economia, Segreteria per l’Economia e Ufficio del Revisore Generale), di nuovi dicasteri e direzioni di vario tipo, consulenze a soggetti e società esterne sono state drenate consistenti risorse, a fronte di risultati davvero modesti, e probabilmente meglio realizzabili da personale interno? Quello che possiamo dire con certezza è che finora è stata la stragrande dei dipendenti a tirare la cinghia, con promozioni e avanzamenti di carriera bloccati, tagli dei servizi (o aumento dei loro costi), politiche familiari migliorabili, stipendi non adeguati al costo della vita e, punto non trascurabile, scarsa valorizzazione delle risorse umane percepite solo come una zavorra da trainare. Eppure, soprattutto nel periodo di sede vacante – ma non solo – i dipendenti hanno dimostrato la loro costante disponibilità ad adattarsi alle esigenze del momento (es. operatori del settore media, custodi dei musei, sanpietrini, ecc.) per il bene della Chiesa.
Peraltro, i recenti sviluppi sull’investimento di Londra, con relative multe, confermano il fatto che il presunto deficit non sia attribuibile solo ed esclusivamente al personale.
Il presunto deficit del Fondo Pensioni del Vaticano
Notiamo poi che si torna a parlare di un deficit del sistema pensionistico. Chi lo ha certificato ufficialmente? Dov’è possibile trovare un bilancio? Quali criteri di calcolo sono stati attivati? I dipendenti, dando un apporto al fondo con i loro contributi, vorrebbero essere informati sull’andamento dei loro risparmi e, soprattutto, su possibili criticità. Confidiamo pienamente nel saggio operato del Cardinale Camerlengo e ci rimettiamo alle sue decisioni.
Tagli, ma per chi?
Alla luce di quanto detto, se proprio devono essere tagli, si cominci a chiedere sacrifici a chi finora non l’ha fatti, per esempio i dirigenti laici che, oltre a percepire generosi compensi, godono anche di innumerevoli benefici. E perché non applicare la retroattività? Non c’è da scandalizzarsi di questa proposta, che andrebbe a vantaggio della futura memoria dei nostri manager, affinché nessuno possa essere ricordato con le parole di Dante “quei fu al mondo persona orgogliosa; bontà non è che sua memoria fregi”. Oltre a questo, bisognerà pensare a varie iniziative/piani di revisione che permettano di incrementare gli introiti della Santa Sede. L’ADLV, nel suo piccolo, è disponibile a contribuire con eventuali proposte, credendo fermamente nella collaborazione e nel dialogo, piuttosto che in politiche impositive e accentratrici, non sempre così fruttuose. Ma chi è realmente disposto ad ascoltarci e ricevere consigli? Le voci dal basso – come ha più volte sottolineato papa Francesco – devono godere di dignità e rispetto, soprattutto in Vaticano.